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Sionismo

Ci troviamo oggi in una temperie culturale in cui la parola sionista viene usata come un insulto, scagliata con aggressività da persone spesso molto compiaciute della propria posizione morale. Questo uso distorto del termine non è solo sbagliato: è un fallimento umano, culturale e politico. Il termine sionismo, infatti, indica unicamente il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico, volto a garantirne l’autodeterminazione. 
Esistono diverse declinazioni storiche e ideologiche del sionismo (religioso, laico, socialista, revisionista, ecc.), ma tutte riconducono a questo nucleo fondamentale: il diritto del popolo ebraico a esistere come nazione nella propria terra. Si può discutere delle forme storiche che ha assunto, ma non si può negarne il significato originario, così come non si può dire che “acqua” significhi fuoco. Eppure, oggi, il termine viene svuotato del suo significato e riempito di proiezioni ideologiche, odiose e spesso antisemite. Questa deriva ha almeno tre cause fondamentali: 1. Propaganda consapevole Alcuni usano il termine sionista come sinonimo di oppressore, colonizzatore, o addirittura demone globale. Sanno perfettamente che stanno falsificando il termine, ma lo fanno deliberatamente, come strumento di guerra simbolica. Non si tratta di ignoranza, ma di propaganda: l’obiettivo non è capire, ma colpire, disumanizzare, delegittimare un intero popolo attraverso una semplificazione tossica. 2. Delirio identitario e fallimento personale Altri, forse la maggioranza, lo fanno perché affascinati da una visione del mondo complottista, in cui esisterebbe un élite nascosta—i "sionisti", appunto—che controlla tutto. In questa narrativa, chi "scopre la verità" si sente parte di un’élite alternativa, una sorta di aristocrazia segreta del pensiero. È una forma di narcisismo intellettuale: si abbandona la fatica dello studio e del pensiero critico in favore di una gratificazione immediata, in cui ogni complessità è ridotta a una lotta fra Bene e Male. Questa mentalità non emancipa: infantilizza. È una religione secolarizzata che promette l’illuminazione attraverso il sospetto anziché la conoscenza. 3. Fallimento politico Infine, c’è un piano più ampio: quello della crisi della politica come spazio di confronto e ricerca del bene comune. La politica cede il passo al culto ideologico. Viene premiato non chi cerca soluzioni, ma chi aderisce al dogma. In questo contesto, usare “sionista” come insulto non è più un errore linguistico: è un sintomo. Sintomo di una politica ridotta a teatro moralistico, in cui contano le appartenenze simboliche più delle responsabilità reali. Siamo così di fronte a un fallimento triplice: umano, perché tradisce l’onestà intellettuale; culturale, perché sostituisce la complessità con il pregiudizio; politico, perché affossa la possibilità stessa del dialogo democratico. Recuperare il significato autentico delle parole non è una battaglia di vocabolario, ma un atto etico e civile. Finché termini come sionismo verranno manipolati per alimentare odio, non ci sarà spazio né per la giustizia né per la pace.

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 Quella sera sei tornata a casa con me, gioco aperto e, incredibilmente, mi sono comportato con gradevole simpatia, nemmeno una parola fuori posto o un gesto di troppo; quando un attimo prima di entrare nel portone mi hai baciato sulla guancia e mi hai sorriso ero ormai finito. Stasera è la stessa cosa ma non devo guardarti in viso: - Non durerà! - è la frase scritta dentro i tuoi occhi un attimo dopo il rush finale. Non è vero, non importa, ci siamo ci siamo stati, quell’amore è nostro, solo nostro Giulia, l’universo stanotte ci ha già portato via. Il blog è lì, mi rappresenta, non posso disquisire io sulla mia letteratura, sulla sua effettiva validità. Io quando scrivo sono fuori da tutto, non scrivo per nessuno in particolare apro il cuore e l’intelletto e mi lascio andare. Scrivere è la mia libertà non la baratterò con niente altro al mondo vorrei fosse anche quella di chi mi legge nell’attimo perenne dello sguardo che passa sulle parole. Ero così già a dieci anni, solo mia ma...

UN'IPOTESI -

Se ami non fai l’amore, ce l’hai dentro e lo tiri fuori, non ti vedi mentre lo fai e quindi non hai nessuna pruriginosa fantasia sessuale. Non c’è sesso nell’amore ma solo sviluppi trascendentali di una nobiltà eterna che hai come patrimonio da spendere. E lo spendi male, sempre. Il concetto di piacere sessuale sta stretto dentro il mio amore: prima no, prima ci stava benissimo ma era un’ipotesi.
L’amore era un patrimonio enorme e noi non potevamo contenerlo tutto…si apre un interruttore, un giorno, e poi a ondate la vita ti porta via come un fiume in piena e tu non puoi rifiutarti di essere diverso da prima!