Tra le molte forme che l'antisemitismo contemporaneo assume, ve n’è una particolarmente contraddittoria – che, per evitare diagnosi affrettate, potremmo definire "schizofrenica" nel senso etimologico di "mente scissa".
Si tratta di una narrazione che, da un lato, dipinge gli ebrei come parassiti incapaci di sopravvivere autonomamente, destinati a succhiare risorse da un ospite (come gli Stati Uniti, cui sarebbero state "drenate" armi e ricchezza); dall’altro, li raffigura come burattinai onnipotenti, architetti occulti di ogni meccanismo di potere globale.
Le radici medievali di un paradosso moderno.
Questa doppia rappresentazione non è nuova: affonda le radici in stereotipi medievali che vedevano gli ebrei contemporaneamente come usurai senza patria (il "parassita") e come cospiratori demoniaci (il "burattinaio"). La contraddizione è solo apparente: entrambe le immagini derivano dall’idea teologica dell’ebreo come "popolo deicida", che avrebbe rifiutato Cristo stringendo un patto con Satana. Se nel Medioevo questa credenza giustificava pogrom e espulsioni, oggi si traveste da teoria politica, mantenendo intatta la sua carica metafisica.
Dai Protocolli dei Savi di Sion a QAnon: la persistenza di un mito.
Non è un caso che "I Protocolli dei Savi di Sion" – il falso ottocentesco su un presunto governo ebraico mondiale – siano ancora citati in certi ambienti, né che teorie complottiste come QAnon rielaborino gli stessi temi (dalla "finanza globalista" al "Great Reset"). L'antisemitismo moderno non ha abbandonato il suo substrato religioso: lo ha secolarizzato, sostituendo Satana con il "globalismo" e il "sionismo", ma conservando l’ossessione per un nemico insieme debole e onnipotente.
Perché questa narrazione resiste?
La forza di questo paradigma sta nella sua plasticità psicologica; da un lato, la figura del "parassita" giustifica sentimenti di disprezzo e esclusione ("gli ebrei sono inutili").
Dall’altro, quella del "burattinaio" alimenta rabbia e paura ("controllano tutto").
In questo modo, l’antisemita può oscillare tra vittimismo ("noi siamo oppressi da loro") e senso di superiorità ("loro sono inferiori").
È un meccanismo autoassolutorio: se gli ebrei sono sia deboli che potenti, ogni azione contro di loro diventa legittima, sia come "difesa" che come "liberazione".
Smontare questa narrazione richiede riconoscere la sua incoerenza logica (come può un gruppo essere sia incapace di sopravvivere che padrone del mondo?) e riportare alla luce le sue radici medievali.
Soprattutto, serve rifiutare la secolarizzazione di miti religiosi, mostrando come l’odio antisemita, anche quando si traveste da critica politica, resti fondamentalmente una superstizione paranoica.
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