L’idea che "Gesù sia stato il primo socialista della storia" circola spesso, soprattutto in ambienti di sinistra. Ma è un’affermazione storicamente fondata? O nasce da un’interpretazione anacronistica? Approfitto della questione per riflettere su alcune mie convinzioni politiche e sul perché, nonostante tutto, continuo a considerarmi un uomo di sinistra.
Un errore metodologico: proiettare il presente sul passato
L’accostamento tra Gesù e il socialismo deriva dall’applicazione di categorie moderne a un contesto antico, un errore storiografico frequente (lo commette persino Alessandro Barbero quando parla di "borghesia" nell’Atene classica). Il socialismo, come ideologia strutturata, nasce tra Sette e Ottocento, in reazione alle contraddizioni del liberalismo e della Rivoluzione Industriale.
Gesù, invece, era un ebreo del I secolo, la cui predicazione si inseriva nella tradizione profetica giudaica. Il suo messaggio aveva una dimensione comunitaristica – basata sulla condivisione e sulla giustizia sociale – ma non comunista o socialista, perché privo di quegli elementi tipicamente moderni come la lotta di classe, la pianificazione economica o la proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Le radici ebraiche della solidarietà organizzata
Un aspetto interessante, spesso trascurato, è il modello di autogestione delle comunità ebraiche durante la diaspora. Queste svilupparono strutture di mutuo soccorso – collegia o consigli di probi viri – che si occupavano di redistribuire risorse, assistere i bisognosi e gestire i beni comuni. Era un sistema che garantiva sostentamento anche ai più poveri, in contesti dove la carità non era istituzionalizzata.
Qui emerge una differenza cruciale con l’individualismo liberista: mentre il mito della "mano invisibile" presuppone che il mercato autoregolato risolva ogni disuguaglianza, l’esperienza storica dimostra che senza intervento deliberato, le disparità si acuiscono.
Perché resto di sinistra (nonostante tutto)
La mia adesione alla sinistra nasce proprio da qui: dal rifiuto dell’utopia liberista e dalla convinzione che una società giusta richieda istituzioni solidali. Non credo che la ricchezza si ridistribuisca spontaneamente, né che il benessere di pochi possa coincidere con quello di tutti. Servono meccanismi chiari – tasse progressive, welfare universale, controllo democratico sull’economia – per evitare che chi è svantaggiato venga schiacciato.
Gesù, in questo senso, non fu un socialista, ma la sua denuncia dell’ingiustizia ("È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli", Marco 10:25) resta una lezione potentissima. E forse, oggi più che mai, vale la pena rileggerla senza strumentalizzazioni, ma con la consapevolezza che l’uguaglianza non è un dono del mercato: è una scelta politica.
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