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LONTANO DA QUI, 15 OTTOBRE 1960

Le estati roventi e secche degli ultimi anni 60 le ricordo bene, e con loro il profumo ipnotico dei gelsomini nelle notti piene di stelle passate a chiacchierare davanti alle acque scure del canale di Sicilia. E’ stata anche un momento culturale protratto e significativo, un confronto, l’altra faccia della medaglia che non mi ha mai permesso di credere alle bugie che ascoltavo altrove; oggi devo ammettere quello che quarantanni fa non avrei mai accettato: che la cultura, sia in senso stretto che in senso lato, è purtroppo un’eredità ” sociale” difficilmente costruibile fuori da un certo ceto e da certe abitudini mentali. Milano della fine degli anni 50 e all’inizio del 60 era una città diversa, era una dimensione perduta per sempre. Io la ricordo con una sensazione di “grande abbraccio”, di una ritrosia che si lasciava vincere solo da una schiettezza sincera. Ero un bambino ma i milanesi li ricordo bene: sorrisi formali ed attenti, l’aria di chi aveva sempre qualcosa da fare o la stava facendo e il freddo pungente delle mattine d’inverno. Nel 1958, poco prima che iniziasse la primavera, entrai nella prima classe elementare lombarda e conoscevo l’italiano! A meno di 10 anni d’età, molte cose sono solo un gioco o una scoperta. Di fatto a scuola io ero “un emigrante al contrario” e il mio rendimento elevato serviva soltanto ad evidenziare i nervi scoperti di un razzismo latente, di una mancanza di conoscenza di cui io mi dovetti far carico interamente. Ma avevo un alleato prezioso, il signor Oldrini, il mio maestro. L’uomo che mi insegnò, facilmente, il gusto della scoperta e del sapere e la tenerezza del dare. Non c’è più il signor Oldrini, ormai è solo un nome nascosto dentro di me; ricordarlo adesso è veramente un gesto d’amore perché lui non può ascoltarmi, non può sapere che quel ragazzino dai capelli rossi e dagli occhi chiari, quel siciliano dalla fisionomia inconsueta, chiude gli occhi e lo vede, lo sente parlare e gli sorride ancora. Più in la non riesco ad andare e comunque non ho nessuna memoria. 
Dei giorni prima del 15 ottobre 1960 non possiedo che ricordi sfilacciati, vaghezze con alcuni lampi fortissimi in mezzo ad una nebbia senza confini. Il fortissimo trauma cranico di quel pomeriggio lontano giocando con i ragazzini in un oratorio del centro, si è portato via tutto o quasi. La mia vita ricomincia il giorno dopo in una corsia d’ospedale: apro gli occhi e sento di avere la testa fasciata e di percepire un ronzio diffuso, il viso di mio padre e mia madre è la terra promessa. Prima viveva un altro Enzo ma se n’è andato giocando in un cortile di Milano. Di quel bambino mi son rimaste alcune cose isolate: la gioia per alcuni palloncini in via Dante a Milano il colore del vecchio mobile nella casa della nonna nell’antico paese siciliano, l’odore penetrante di stallatico del carretto su cui in estate attraversai la Val di Mazara… Il senso di mare una mattina quando scoprii le orme dei gabbiani sulla spiaggia e il sole era già alto. Il rumore del vento dolce dall’Africa fra le colonne doriche. Quell’Enzo non ha altra memoria di sé. Questo post c’è anche perché quel pomeriggio d’ottobre Don Filippo si caricò sulle braccia un bambino con la testa piena di sangue, lo caricò sopra una seicento e lo portò in ospedale in tempo. Mamma dice però che quella notte il Signore si spaventò perché mio padre gli disse che poi doveva vedersela con lui se io me ne andavo; sorrido ancora oggi quando ci penso e mi carezzo con la mano la cicatrice che sento, nodosa come una radice, sotto i capelli.

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 Quella sera sei tornata a casa con me, gioco aperto e, incredibilmente, mi sono comportato con gradevole simpatia, nemmeno una parola fuori posto o un gesto di troppo; quando un attimo prima di entrare nel portone mi hai baciato sulla guancia e mi hai sorriso ero ormai finito. Stasera è la stessa cosa ma non devo guardarti in viso: - Non durerà! - è la frase scritta dentro i tuoi occhi un attimo dopo il rush finale. Non è vero, non importa, ci siamo ci siamo stati, quell’amore è nostro, solo nostro Giulia, l’universo stanotte ci ha già portato via. Il blog è lì, mi rappresenta, non posso disquisire io sulla mia letteratura, sulla sua effettiva validità. Io quando scrivo sono fuori da tutto, non scrivo per nessuno in particolare apro il cuore e l’intelletto e mi lascio andare. Scrivere è la mia libertà non la baratterò con niente altro al mondo vorrei fosse anche quella di chi mi legge nell’attimo perenne dello sguardo che passa sulle parole. Ero così già a dieci anni, solo mia ma...

UN'IPOTESI -

Se ami non fai l’amore, ce l’hai dentro e lo tiri fuori, non ti vedi mentre lo fai e quindi non hai nessuna pruriginosa fantasia sessuale. Non c’è sesso nell’amore ma solo sviluppi trascendentali di una nobiltà eterna che hai come patrimonio da spendere. E lo spendi male, sempre. Il concetto di piacere sessuale sta stretto dentro il mio amore: prima no, prima ci stava benissimo ma era un’ipotesi.
L’amore era un patrimonio enorme e noi non potevamo contenerlo tutto…si apre un interruttore, un giorno, e poi a ondate la vita ti porta via come un fiume in piena e tu non puoi rifiutarti di essere diverso da prima!